Tanto cuore e poche alchimie: così “Ringhio” ha ridato vita alla rinascita degli azzurri e al grande sogno mondiale
Andiamo oltre le tre vittorie (su tre) di Rino Gattuso da quando è commissario tecnico azzurro. E non lo diciamo per la presunta inconsistenza degli avversari, oggi vincere non è automatico anche contro la numero 150 del ranking

Gennaro Gattuso
Andiamo oltre le tre vittorie (su tre) di Rino Gattuso da quando è commissario tecnico azzurro. E non lo diciamo per la presunta inconsistenza degli avversari, oggi vincere non è automatico anche contro la numero 150 del ranking, ma per quel senso di appartenenza che la Nazionale aveva perso, buttando nella pattumiera due qualificazioni al Mondiale tutt’altro che complicate.
Su questo tasto bisogna insistere, quello di un gruppo che viaggia verso la stessa direzione e che non vive di egoismi. Chi lo ha preceduto, pensava di essere il padrone del vapore, eppure bisognava andare spesso alla ricerca di una scialuppa di salvataggio, senza trovarla. E poi mille, assurdi, alibi, piuttosto che ammissioni di colpa.
Mancini era scappato in una notte d’estate, dalla sera alla mattina, senza un minimo di preavviso pensando di avere un’eterna medaglia al petto per avere vinto un Europeo piuttosto che un’onta incancellabile per l’infausta notte palermitana con schiaffoni rifilataci dalla Macedonia. Spalletti, che non vedeva l’ora di sostituirlo, è affogato nella sua inadeguatezza di essere ct che alla lunga lo ha portato a indicibili incomprensioni con il gruppo. Logica conseguenza di una prestazione indegna nella tana della Norvegia, la stessa che quasi sicuramente ci costringerà a vivere l’incubo di un altro spareggio (quanto è lunga la strada fino a marzo, la nostra storia non merita simile supplizio).
Ma Gattuso non c’era e se ci fosse stato probabilmente avrebbe tirato quattro urla ripristinando un minimo di normalità. Si vede che lo seguono, lo stimano, gli vogliono bene e non lo calpestano. Certo, non è colpa sua se domani sera dovremo battere l’Israele a Udine per avere come minimo la certezza del secondo posto con probabile playoff. Una volta al Mondiale andavamo con la pipa in bocca, con un ipotetico pilota automatico e senza la minima incertezza, Ringhio in campo lo vinceva anche e qualcosa vorrà pur dire. Nel frattempo tiriamo in porta e segniamo, esercizio a noi sconosciuto in tante partite contro avversarie dello stesso lignaggio dell’Estonia.
Se Kean, prima di infortunarsi, timbra il cartellino per la quarta partita di fila, significa che Gattuso chiede ai suoi calciatori il meglio del bagaglio individuale, alla larga da formule astruse e filosofiche interpretazioni che in passato ci hanno fanno restare in un vicolo cieco. Il discorso vale per Retegui, per lo splendido Pio Esposito destinato a una carriera luminosa, magari proponendo quattro attaccanti in un colpo solo perché siamo l’Italia e non dobbiamo andare in campo con i pannoloni. Abbiamo un centrocampo ben miscelato, con Tonali che accende la luce e chi lavora accanto a lui si preoccupa che qualcuno non si attivi per spegnerla.
Non ci sono invenzioni tattiche senza un perché, forse una mentalità più offensiva piuttosto che la ricerca di esperimenti senza senso. Non si vive di se, ma sarebbe bastato usufruire della semplicità di Gattuso con qualche mese di anticipo per vivere una normalità, non soltanto tattica, che spesso non ci appartiene.
Una cosa è sicura: vivremo un incubo fino a marzo, ma con un Ringhio di appartenenza e alla larga da egoismi personali. Se dovesse andare buca, speriamo di no, di sicuro lui sarebbe l’ultimo dei responsabili.