il racconto
Schifani fa “spogliatoio” e ricuce ma FdI vuole la testa di Iacolino. Scintille fra Cuffaro e Lombardo
La maggioranza sigla un “patto di legislatura”: no al voto segreto, finanziaria «dal basso»

Renato Schifani con Salvatore Iacolino, dirigente dell'assessorato alla Salute
Non è stato un mezzogiorno di fuoco. Ma di acqua, tanta acqua, sul fuoco. Come volevasi dimostrare. Il vertice di maggioranza finisce con il centrodestra siciliano che, dopo il boccone amaro del voto sulla manovra quater, tira fuori lo zucchero caramellato. Si loda e s’imbroda, dopo tre ore di confronto a Palazzo d’Orléans, dopo il quale viene partorita la «costituzione di un tavolo tecnico-politico» che proverà a rimarginare le ferite aperte (le tante norme bocciate dai franchi tiratori) e traghetterà la coalizione verso la finanziaria di fine anno, con «un approccio dal basso» e cioè coinvolgendo partiti e deputati regionali, lasciando però il rebus degli «interventi territoriali» (alias elegante per non chiamarle mancette) che il presidente delle Regione, col supporto di alcuni alleati, vorrebbe cassare per proporre «norme di ampio respiro con una cospicua copertura di risorse», mentre altri storcono il naso.
Tutto è bene ciò che finisce bene. Almeno per ora, con un “patto di legislatura” siglato da Renato Schifani con i vertici regionali e i capigruppo all’Ars di Forza Italia (Stefano Pellegrino e Marcello Caruso), Fratelli d’Italia (Luca Sbardella e Giorgio Assenza), Lega (Nino Germanà e Luca Sammartino), Dc (Totò Cuffaro e Carmelo Pace), Mpa (Raffaele Lombardo e Roberto Di Mauro) e Noi Moderati (Saverio Romano, Massimo Dell’Utri e Marianna Caronia).
Per Schifani, dunque, missione compiuta. Il governatore fa “spogliatoio” e riesce a narcotizzare la crisi politica più grave dall’inizio della legislatura. E, soprattutto, ricuce lo strappo con FdI, socio di maggioranza del centrodestra nazionale, ma soprattutto deus ex machina (tramite Ignazio La Russa) della sua candidatura nel 2022 e ago della bilancia per il secondo mandato. Al quale, nella edulcorata nota di fine vertice, non si fa cenno: viene manifestata «la forte determinazione di proseguire in questo percorso fino alla scadenza naturale della legislatura». Poi si vedrà, anche perché Schifani (che resta il favorito per succedere a se stesso) dovrà giocarsi la riconferma sul tavolo romano dei leader.
Ma quella di ieri pomeriggio è una salutare pezza su un buco che rischiava di trasformarsi in una voragine. Soprattutto per l’alta tensione con FdI. Non a caso infatti, di buon mattino, il governatore ha consumato il rito, alquanto insolito eppure molto utile, di un “pre-vertice” con il proconsole meloniano in Sicilia. Un’ora abbondante di faccia a faccia con Luca Sbardella, depositario di «un mandato pieno» da Via della Scrofa per «risolvere alla radice il caso Sicilia». E il commissario regionale di FdI ha subito srotolato sul tavolo presidenziale i nodi più controversi. A partire da quello che viene ritenuto una sorta di «assassinio di Sarajevo», causa scatenante della «guerra mondiale» poi scoppiata all’Ars. E cioè: la nomina, o meglio la conferma, di Salvatore Iacolino al vertice del dipartimento della Pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute. Una scelta, fortemente voluta da Schifani, contestata sin dall’origine dai Fratelli di Sicilia: appena un assessore su quattro presente in giunta, ma senza votare la nomina, criticata per iscritto con un “pizzino” dei vertici del partito messo a verbale. E sul super burocrate della sanità si apre un caso.
Da svariate fonti del centrodestra viene confermata l’apertura del governatore («Se il problema sono le nomine della sanità, faremo in modo di risolverlo»), mentre da Palazzo d’Orléans arriva una precisazione che suona più o meno così: «Il caso Iacolino non è stato oggetto del vertice di maggioranza». Ma magari prima e di lato sì. Posto che il dirigente regionale è sottoposto a una proroga tecnica di due mesi (dovuta all’impossibilità di firmare il nuovo contratto senza l’approvazione del consolidato), il burocrate diventa adesso un peso ingombrante per Schifani. Che, nel frattempo, ha pure occupato l’unica poltrona con cui potrebbe ricompensarlo per l’eventuale passo indietro: quella di manager dell’Asp di Palermo. La seconda questione è di equilibri interni a Forza Italia: più di un deputato, ieri pomeriggio, esterna malumore per «un dietrofront che ci fa apparire come dei pagliacci senza spina dorsale». Un’interpretazione che fa gongolare anche un big di FdI, assente al vertice, fino a confidare a un alleato la metafora del «bacio della pantofola» da parte del presidente sotto scacco.
Sbardella, oltre a buttare sul tavolo «l’abolizione del voto segreto» (facendolo sapere prima che cominciasse il vertice), iniziativa su cui si registrerà «l’unanimità dei partecipanti», chiarisce in separata sede con il governatore anche un altro paio di punti. Il primo è che «non c’è alcuna ostilità né del partito né del presidente dell’Ars». Come dire: mettete i fiori dentro i cannoni. E Schifani lo fa, chiedendo personalmente di inserire nel comunicato stampa l’«apprezzamento» nei confronti di Gaetano Galvagno «per la gestione dei lavori dell’Aula che ha consentito l’approvazione delle ultime due manovre finanziarie nei tempi previsti». E poi una richiesta più subdola: arginare lo «strapotere» del vicepresidente leghista Luca Sammartino.
Il vertice, a questo punto, diventa un copione semplice da recitare. La ratifica di un accordo siglato altrove. Schifani introduce con insolita rapidità, poi passa la parola agli alleati. C’è giusto il tempo per buttare nella mischia la riforma della legge elettorale regionale (tema decisivo per le sorti della Sicilia quasi quanto quello del deputato supplente), senza risparmiarsi un “cult”: i gustosi siparietti fra Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro. Quando il patron autonomista si lamenta dell’accordo Lega-Dc, il rivale lo rimbrotta: «Ma quando l’avevi fatta tu, l’alleanza con Salvini, andava bene e ora no? Dillo che non ti ha voluto lui...». Poi Lombardo si fa più cupo e manifesta «un certo imbarazzo» per la litigiosità della coalizione, lasciandosi andare a una sorta di “lezione” sul tema della lealtà. E Cuffaro, alzando la voce, lo interrompe: «Parli tu che alle Provinciali hai fatto gli accordi con Pd e M5S? La coerenza, questa sconosciuta...». Il rivale lo fulmina con lo sguardo.
Cala il sipario. Si riparte, «in un clima di coesione e spirito unitario». Fino alla prossima faida.