IL PROCESSO D'APPELLO
Firenze, confermate le condanne ai cinque poliziotti per il rimpatrio di Alma Shalabayeva
Si tratta dei dirigenti Renato Cortese e Maurizio Improta, e dei funzionari Luca Armeni, Francesco Stampacchia e Vincenzo Tramma
La Corte d’appello di Firenze ha confermato le condanne dei cinque funzionari di polizia imputati nel processo di appello bis sul rimpatrio di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa nel 2013 insieme alla figlia Alua, allora di 6 anni.
La decisione ribadisce, con parziale riforma, il verdetto di primo grado del Tribunale di Perugia: l’interdizione dai pubblici uffici è stata ridotta dalla perpetuità a cinque anni. L’imputazione è di sequestro di persona, in relazione alle irregolarità nelle procedure di espulsione.
Il procuratore generale Luigi Bocciolini aveva chiesto l’assoluzione; la parte civile aveva sollecitato la condanna e il risarcimento.
Restano invariate le pene: cinque anni di reclusione per gli ex dirigenti della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione, Renato Cortese e Maurizio Improta, e per i funzionari della mobile Luca Armeni e Francesco Stampacchia; quattro anni per il funzionario dell’ufficio immigrazione Vincenzo Tramma.
Gli imputati sono stati inoltre condannati al pagamento delle spese processuali e dei risarcimenti. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni.
I fatti risalgono alla fine di maggio 2013. “Decisione molto difficile da prendere contro altri funzionari, ma decisione giusta. Vorrei dire a tutti che è stata presa una decisione incredibile, è difficile stare contro altri funzionari dello Stato italiano” e che “la giustizia stesse con me”, ha dichiarato Alma Shalabayeva dopo la lettura del dispositivo. “Grazie a tutte le persone che hanno avuto fiducia in me, grazie a voi ho avuto questa decisione giusta oggi, grazie”.
Un portavoce della famiglia, Marc Comina, ha rimarcato: “Siamo rimasti choccati dalla leggerezza con la quale è considerata la dittatura che c’è in Kazakistan, fino a oggi questi poliziotti hanno fatto finto di ignorare le menzogne del Kazakistan”, aggiungendo che “l’ignoranza” sulla situazione politica nel Paese “è un’aggravante in questo caso” poiché si tratta di “non voler capire di aver servito gli interessi di una dittatura” e “le sue menzogne”.
Difesa pronta al ricorso. “È una sentenza particolarmente sorprendente se si considera che anche la Procura Generale aveva chiesto l’assoluzione per Renato Cortese e gli altri imputati. Non ci arrendiamo. Faremo ricorso per Cassazione”, hanno dichiarato il professor Franco Coppi e l’avvocata Ester Molinaro, legali di Cortese. Sulla stessa linea l’avvocato Bruno Andò, difensore di Maurizio Improta: “Siamo scossi dall’esito del giudizio. Leggeremo le motivazioni e senz’altro impugneremo la sentenza in Cassazione perché siamo intimamente convinti della piena innocenza degli imputati”.