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L'addio

I funerali a Padova dei tre carabinieri morti nel Veronese, l'arcivescovo Saba: «Servire il prossimo, vincere il male»

Al rito funebre presenti le più alte cariche dello Stato e tanti colleghi dei tre sfortunati militari morti nell'adempimento del loro servizio

Redazione La Sicilia

17 Ottobre 2025, 17:11

20:34

I funerali a Padova dei tre carabinieri morti nel Veronese, l'arcivescovo Saba: «Servire il prossimo, vincere il male»

La dignità dei familiari delle tre vittime, la dignità degli uomini dello Stato, la dignità delle istituzioni. È il sentimento che ha permeato, facendone un corpo unico, la folla che oggi a Padova nella Basilica di Santa Giustina ha dato l’ultimo saluto con un funerale di Stato ai tre carabinieri Valerio Da Prà, Davide Bernardello e Marco Pifferi, uccisi dall’esplosione a Castel d’Azzano, in provincia di Verona. Il loro dolore è racchiuso in un abbraccio dalle più alte cariche dello Stato, a partire dal presidente Sergio Mattarella.

Padova si è fermata per dare l’ultimo saluto a questi servitori dello Stato. Un migliaio di persone dentro, quanti ne poteva contenere la basilica intitolata alla patrona di Padova, il doppio all’esterno, sul sagrato: uomini delle forze dell’ordine mischiati a semplici cittadini, radunati già dal primo pomeriggio. I feretri di Valerio Daprà, Davide Bernardello e Marco Piffari, sono partiti dalla camera ardente allestita al Comando Legione Carabinieri e sono giunti a Prato della Valle cinque minuti prima dell’inizio delle esequie.

Il rito è stato celebrato da mons. Gianfranco Saba, ordinario militare per l’Italia, assieme al vescovo di Padova Claudio Cipolla, a quello di Verona Domenico Pompili, all’abate di Santa Giustina dom Giulio Pandoni e altri cappellani. Assieme a Mattarella la premier Giorgia Meloni, i presidenti di Senato La Russa e della Camera Fontana, i ministri Tajani, Crosetto, Salvini, Piantedosi, Nordio, Abodi, Roccella, Schillaci e Bernini. E, ovviamente, il comandante dei Carabinieri Salvatore Luongo, rimasto accanto ad alcuni carabinieri feriti, chi con una benda in testa, chi con una fasciatura alla gamba: sono quelli che erano con Valerio, Davide e Marco nello sgombero del casolare dei fratelli Ramponi finito in tragedia.

In silenzio la folla ha atteso l’arrivo del capo dello Stato, accolto dal presidente del Veneto Luca Zaia e dal sindaco di Padova Sergio Giordani. Ed in silenzio ha accompagnato l’uscita dei feretri coperti dal tricolore. Gente da tutta Italia, moltissimi con i baschi dei corpi dell’esercito. Pochissimi con il cellulare in mano, molti di più quelli con un fazzoletto ad asciugare gli occhi gonfi di commozione.

«La vittoria sul mondo e sul male è anche l’amore di chi serve la patria, cioè il prossimo, garantendo la giustizia, il bene comune, la stabilità delle istituzioni preposte a custodire nell’ordine e nell’armonia la comunità umana» ha detto Saba nell’omelia. «I nostri fratelli hanno seguito la via del servizio per il bene comune. Nel loro incontro con Cristo si saranno specchiati in Lui vedendo così che il volto bello dell’umanità sta nel servire il prossimo». Il ministro Guido Crosetto ha fatto una promessa: «I nostri nomi, il mio, quello del presidente - ha detto alla fine della celebrazione - sono scritti sulla sabbia della memoria delle persone care e destinati a scomparire nel tempo; il nome dei giusti no, il nome di chi è morto per la patria è scritto nella roccia della memoria della Repubblica, e viene onorato, ricordato, e state tranquilli, le forze armate sono le custodi di quella memoria».

Visibilmente commosso, Mattarella ha chinato il capo di fronte alla bara di Pifferi e Bernardello, poi ha abbracciato il figlio di Valerio Daprà, Christian. Si è soffermato a lungo a parlare con i familiari delle vittime e ha sostato in preghiera davanti alla bare disposte sul sagrato.

Tra i familiari delle vittime in molti hanno guardato Luigi, l'anziano padre di Marco Piffari. Andatura incerta, piegato dagli anni, muovendosi con il bastone, ha avuto parole di conforto per tutti. Da vecchio marinaio ha fatto il saluto militare davanti alle tre bare e ha assistito alla cerimonia in prima fila assieme ai familiari del figlio. Ha parlato a lungo anche con il presidente Mattarella, all’uscita sul sagrato di Santa Giustina. «Ti sei bruciato il nasino. Dai che ti è andata bene. Non a Marco», è stata la battuta fatta a un commilitone del figlio». C'era anche lui martedì in quel maledetto casolare e oggi aveva una vistosa benda sul naso.