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Santa sede

Fu costretto a dimettersi da mons. Becciu: presentato ricorso in Cassazione contro la Segreteria di Stato

Venne allontanato dopo aver sollevato le anomalie finanziarie e il caso dell'acquisto del noto palazzo di Sloane Avenue a Londra

Redazione La Sicilia

16 Ottobre 2025, 16:58

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Non si arrende l’ex revisore generale dei conti vaticani, Libero Milone, estromesso dal servizio nel giugno 2017 insieme al suo vice Ferruccio Panicco (nel frattempo deceduto), e prosegue nella sua battaglia legale contro la Santa Sede per ottenere giustizia in merito a quello che ritiene un ingiusto e «calunnioso» allontanamento e alla grave lesione alla propria immagine professionale.

Dopo che la richiesta di danni in sede civile alla Segreteria di Stato e all’Ufficio del Revisore generale, presentata nel novembre 2022 (in tutto i due avevano chiesto circa 9,3 milioni di euro), è stata respinta in primo grado dal Tribunale vaticano nel gennaio 2024 - perché secondo i giudici presentata contro chi non sarebbe stato responsabile dei fatti - e la sentenza confermata in appello, con le stesse motivazioni, il 22 luglio scorso, ora Milone ha depositato ricorso in Cassazione insieme agli eredi di Panicco, sempre contro la Segreteria di Stato della Santa Sede, nella persona del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.

Bocciando in primo e secondo grado la loro istanza, i giudici avevano anche condannato Milone e gli eredi Panicco a rifondere circa 113.000 euro di spese processuali.

Nel giugno 2017 i due ex auditor vaticani furono costretti alle dimissioni dall’allora sostituto per gli Affari generali mons. Angelo Becciu con l’accusa di aver fatto «spiare» autorità di governo vaticane, tra cui lo stesso Becciu.

Il ricorso in Cassazione è stato ora ripresentato contro la Segreteria di Stato, spiegano i legali di Milone, facendo leva su una sentenza del 2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana, che ha stabilito che un ente è civilmente responsabile per i danni causati a terzi da atti criminali o illeciti dei propri dipendenti, anche quando questi ultimi abbiano abusato della loro autorità e dei loro poteri e abbiano agito per scopi esclusivamente personali ed egoistici.

«Becciu ha chiaramente agito utilizzando i poteri inerenti alla sua carica pubblica, incluso il diritto di comandare direttamente la Gendarmeria - ricorda Milone -. Nel settembre 2017 dichiarò alla stampa che “se Milone non si fosse dimesso, lo avremmo perseguito penalmente”, ammettendo così che il pubblico ufficiale non aveva eseguito un atto dovuto - il nostro arresto - in sostituzione delle nostre dimissioni, da lui ottenute con la coercizione. Allo stesso tempo, il capo della Gendarmeria dichiarò di essere in possesso di tutte le prove grazie al lavoro investigativo svolto nell’arco di sette mesi».

«Ci hanno terrorizzato al punto da minacciare noi e le nostre famiglie e, dopo circa 12 ore di interrogatorio ciascuno, abbiamo deciso di dimetterci, quando se le accuse della giustizia fossero state fondate, avremmo dovuto essere arrestati», ricorda ancora.

Milone e i suoi legali lamentano che in sede processuale «la nostra difesa è stata letteralmente e inspiegabilmente dimezzata, con la rimozione di circa 20 pagine da parte dei giudici» e che «la motivazione per la rimozione di questi elementi era che fossero offensivi per il top management»: «ciò significa che se sei a capo di un ente in Vaticano e commetti un reato, sei automaticamente considerato non colpevole?». Ciò va di pari passo col fatto che le segnalazioni di anomalie finanziarie avanzate da Milone non hanno mai trovato ascolto: anzi, proprio quelle, compresi i rilievi sull’acquisto del noto palazzo di Sloane Avenue a Londra, a suo dire avrebbero portato al suo brutale allontanamento.

Milone insiste anche nel desiderio di incontrare il Papa: per questo ha scritto una lettera a Leone XIV, alla quale attende risposta. «Desidero condividere le mie preoccupazioni sul sistema orwelliano di protezione del potere all’interno del Vaticano», afferma.

(di Fausto Gasparroni)