Castel d'Azzano, i carabinieri morti, le molotov e le bombole del gas: così i Ramponi hanno pianificato la strage
L'inchiesta della Procura di Verona sull'esplosione che è costata la vita ai tre militari

Strage. È l’ipotesi di reato formulata dal procuratore di Verona, Raffaele Tito, che ricomprende tutti i delitti connessi, nei confronti dei tre fratelli Ramponi, ritenuti responsabili della deflagrazione avvenuta a Castel d’Azzano (Verona), costata la vita a tre appartenenti ai reparti speciali dei Carabinieri: il brigadiere Valerio Daprà, 56 anni, il carabiniere scelto Davide Bernardello, 36 anni, e il luogotenente Marco Piffari, 56 anni. Altre 27 persone, tra militari dell’Arma, agenti di polizia e vigili del fuoco, sono rimaste ferite.
Secondo gli inquirenti, Franco, Dino e Maria Grazia Ramponi avrebbero pianificato l’azione da tempo, predisponendo bottiglie molotov e disseminando nell’abitazione numerose bombole di gas, poi aperte per saturare gli ambienti non appena sono arrivate le auto delle forze dell’ordine. La casa era trasformata in una sorta di fortino, con imposte rinforzate e inferriate alle finestre.
Il blitz, scattato poco prima dell’alba, prevedeva una perquisizione mirata a verificare la presenza di esplosivi e ordigni incendiari, dopo numerosi tentativi di sgombero falliti e diversi episodi in cui uno dei fratelli si era cosparso di benzina minacciando di darsi fuoco e di usare molotov. Nessuno immaginava un epilogo tanto tragico.
Sul posto operavano una trentina di investigatori: mentre i Carabinieri cinturavano l’area, gli agenti dell’Uopi, specializzati nell’antiterrorismo, sono saliti sul tetto, dove hanno rinvenuto due bottiglie incendiarie pronte all’uso. Non hanno fatto in tempo a entrare: lo scoppio li ha travolti. Sono trascorsi appena due, tre minuti dall’arrivo prima che l’area venisse investita dalla poderosa esplosione.
Dalla ricostruzione emergono ulteriori dettagli. A innescare la miccia sarebbe stata Maria Grazia, unica presente all’interno, mentre i due fratelli avevano trovato riparo in una sorta di cantina adiacente alla cascina. Nel momento in cui gli operatori dei reparti speciali sono giunti sulla soglia, la detonazione ha fatto crollare lo stabile e il solaio del primo piano. Il boato, violentissimo, è stato preceduto da un lungo sibilo tipico dello svuotamento delle bombole e da un odore inequivocabile avvertito all’ingresso. Intonaci, tegole e detriti sono stati scagliati in ogni direzione come proiettili, mentre le fiamme dilagavano.
Gli investigatori ipotizzano che la donna fosse il vero “capofamiglia” e che abbia convinto i fratelli ad allontanarsi, confidando loro quanto stava per fare e dichiarandosi pronta a “immolarsi”. La deflagrazione però non l’ha uccisa: è rimasta in piedi su quel che restava del primo piano, urlando frasi sconnesse. I Carabinieri, nonostante le ferite e con i colleghi sotto le macerie, l’hanno tratta in salvo e affidata ai sanitari.
I vigili del fuoco hanno recuperato cinque bombole, tutte svuotate, oltre a frammenti di altre ridotte in briciole, per un numero al momento non quantificabile.
Sul posto sono confluiti tutti i Carabinieri in servizio a Villafranca e a Verona; richiamate anche le otto pattuglie impegnate nei controlli del territorio, fino a costituire un vero e proprio “esercito” di cento militari.
Uno dei fratelli, Dino, è stato immobilizzato quasi subito; Franco ha tentato la fuga, ma è stato individuato steso in un prato vicino al suo podere grazie a una manovra a tenaglia che non gli ha lasciato scampo. I due uomini sono ora in carcere, in attesa dell’interrogatorio di garanzia fissato per domani, mentre la sorella è piantonata in ospedale.
La Procura ha intanto autorizzato i funerali, che si terranno dopodomani, venerdì 17 ottobre alle 16.00, nella Basilica di Santa Giustina a Padova, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. La camera ardente sarà allestita domani presso il Comando della Legione Veneto dei Carabinieri.