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il retroscena

Meloni «furiosa»: si apre il "caso Sicilia" a livello nazionale

Dopo l'inchiesta vertice di maggioranza in un clima da funerale. Il governatore oggi avvia il "repulisti" dei dirigenti. Ma gli alleati: stop allo strapotere di Cuffaro

Mario Barresi

07 Novembre 2025, 02:14

02:43

Meloni «furiosa»: si apre il "caso Sicilia" a livello nazionale

Giorgia Meloni e Renato Schifani

Chiudete gli occhi e immaginate di tornare ai bei tempi di Tutto il calcio minuto per minuto. Con tre campi collegati in contemporanea.

Il primo è Palermo. Dove si tiene un tetro vertice di maggioranza. Confermato, con contorsioni di muso da parte della Dc di Totò Cuffaro, nonostante l’inchiesta giudiziaria che scuote la Regione. All’ordine del giorno c’è la “lista della spesa” per la prossima manovra. Ma è chiaro che, in quasi quattro ore di confronto all’Ars, il tema più delicato è la bufera giudiziaria. «All’inizio - confessa uno dei presenti - sembrava una veglia funebre, di quelle con la bara del morto in mezzo alla stanza».

Al di là della nota di circostanza, in cui i leader del centrodestra siciliano ammettono di seguire «con attenzione e senso di responsabilità» la vicenda «attendendo con rispetto gli esiti delle valutazioni in corso da parte degli organi competenti», il vero punto è un altro. Cosa si deve fare adesso? Si aspettano le scelte di Renato Schifani (ieri fuori sede), ma anche le mosse dell’opposizione che prepara la controffensiva: martedì prossimo sit-in di tutto il campo progressista sotto Palazzo d’Orléans per chiedere le dimissioni del presidente, contro il quale verrà presentata una mozione di sfiducia. Piano B: sciogliere l’Ars.

Nel vertice, in cui descrivono Luca Sbardella, commissario regionale di FdI, «molto freddo», così come i rappresentanti dell’Mpa (pesante l’assenza di Raffaele Lombardo) c’è stato un goffo tentativo di autodifesa del democristiano non indagato più alto in grado, Ignazio Abbate, seguito da una (dolorosa) presa di coscienza del leghista Luca Sammartino: «O restiamo uniti e proviamo ad aggiustare le cose o qui finisce male». Alla fine il vertice si aggiorna a mercoledì prossimo, con l’amara consapevolezza che «i tempi li detta la magistratura».

Il secondo campo è Bruxelles. Dove da mercoledì c’è Schifani. Un impegno istituzionale programmato da tempo (per il confronto con la Commissione Ue su piano rifiuti e termovalorizzatori) che si trasforma in un quanto mai propizio “esilio” dalla crisi più grave degli oltre tre anni del suo governo. Il presidente della Regione segue a distanza il vertice (informato prima, durante e dopo da Marcello Caruso), mentre prepara con cura il suo ritorno. Che sarà anticipato a questa mattina, con il volo delle 6, per poi presiedere «una giunta straordinaria, senza alcun ordine del giorno», in cui il governatore annuncia di voler assumere «decisioni importanti». Il governatore ha già pronta la lista del “repulisti”: via i dirigenti coinvolti nell’inchiesta. All’Asp di Siracusa il direttore generale lo anticipa, autosospendendosi; in bilico Maria Letizia Di Liberti (a capo del dipartimento della Famiglia), l’unico “graziato” sarebbe Salvo Cocina, capo della Protezione civile, non indagato, nonostante un brusco calo del suo “rating” di fiducia a Palazzo d’Orléans. Basterà? Sarebbe «soltanto un pannicello caldo», commenta un alleato di spicco, preoccupato per l’effetto collaterale: «Se la politica addossa tutta la responsabilità alla burocrazia, i dirigenti non ci risponderanno più e non firmeranno una sola carta».

Dal cuore delle istituzioni europee Schifani, dopo una notte di riflessione, ne approfitta per smentire ogni tentazione di passo indietro: «Il mio impegno non si ferma. La Sicilia viene prima di tutto».

Infine, il terzo campo: Roma. Quello con meno riflettori puntati, ma anche quello potenzialmente più decisivo per le sorti del governo siciliano. Dalla Capitale filtra un certo nervosismo dei vertici di FdI, con qualcuno dei suoi che descrive Giorgia Meloni «incazzata» sulle vicende siciliane che ha letto dalle rassegne stampa. C’è soprattutto la rivendicazione del «noi vi avevamo avvertiti», rivolta a chi «ha deciso di imbarcare Cuffaro, ma soprattutto di dargli le chiavi della Regione». Più volte, sottolineano da ambienti meloniani, Sbardella ha messo in guardia Schifani sullo «strapotere» del leader della Dc e del suo (ex?) alleato di ferro Sammartino. E, a prescindere dai risvolti giudiziari, il quadro descritto dalla carte è sufficiente, dicono, per «confermare che avevamo ragione». Il tema dell’azzeramento della giunta, anche ieri, non è stato sfiorato. Ma è chiaro che adesso FdI, in asse con Lombardo, è pronta a chiedere «una discontinuità nei fatti» a Schifani. Se non dovesse esserci, sibila qualcuno, «nessuno scenario è da escludere». S’è aperto il “caso Sicilia”.