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il racconto

«Cuffaro vuole candidarsi»: le trame dei cortigiani di Schifani

Unendo i puntini delle inchieste che hanno travolto il centrodestra siciliano, si scopre che in Sicilia non c'è un solo governo della Regione

Salvo Catalano

07 Novembre 2025, 01:57

02:45

«Cuffaro vuole candidarsi»: le trame dei cortigiani di Schifani

Cuffaro con Schifani al matrimonio del figlio

L’amarezza di Renato Schifani nel leggere la ricostruzione della Procura di Palermo sul sistema Cuffaro è reale, dolorosa. Probabilmente cementata in questi anni dalla sensazione che troppe scelte e machiavelliche strategie siano passate sopra la sua testa. E in effetti, unendo i puntini delle inchieste che hanno travolto diversi esponenti del centrodestra siciliano, si ha la percezione che in Sicilia non ci sia un solo governo della Regione. Gruppi di potere - o in alcuni casi, rubando la definizione ai magistrati palermitani, «comitati occulti» come quello guidato da Totò Cuffaro - in cui si muovono, spesso nell'ombra, dentro e fuori i palazzi istituzionali, personaggi che hanno cavalcato trasversalmente presidenti e legislature. Il vero volto del potere nell'isola.

La sanità è il campo da gioco preferito, perché il più ricco. E le nomine dei direttori si decidono in tavoli ristretti. Uno di questo lo organizza l'ex deputato Udc Francesco Regina nella sua casa di campagna nel settembre del 2023. Tre mesi prima della scadenza dei commissari delle aziende sanitarie, a quel tavolo siedono i massimi dirigenti regionali insieme a Totò Cuffaro. C'è Salvatore Iacolino, alla guida del dipartimento per la Pianificazione strategica, talmente influente che sulla sua conferma Schifani ha rischiato di spaccare la maggioranza. E nonostante le rassicurazioni del governatore, che ha promesso agli alleati di Fratelli d'Italia di sostituirlo, Iacolino resiste ancora nel suo ruolo strategico, in attesa di una poltrona alternativa soddisfacente. C'è Salvatore Requirez, in quel momento dirigente generale dell'altro dipartimento della sanità, il Dasoe. C'è Roberto Colletti, finito nell'ultima indagine palermitana, «amico d'infanzia» della famiglia Cuffaro, che negli ultimi dieci anni è stato commissario o direttore generale di quasi tutti gli ospedali palermitani. «Villa Sofia - l'ultima azienda guidata da Colletti fino a inizio 2025 - è a disposizione di Cuffaro», scrivono i magistrati. L'altro invitato, assente quel giorno perché in missione a Roma, è Salvatore Sammartano, già ragioniere generale della Regione, che finita la lunga carriera da dirigente, è rientrato nel palazzo come capo di gabinetto di Schifani.

Per decidere le sorti di un'azienda sanitaria a volte bastano due telefonate alle persone giuste. Quando Cuffaro intende piazzare un altro direttore generale, Mario Zappia, all'Asp di Enna, sa che il primo con cui confrontarsi è Raffaele Lombardo. Anche il leader autonomista ritiene Zappia "in quota sua" e lo vuole a Catania. I due vecchi leader se la discutono tra di loro. «Ho ottenuto il parere favorevole sia di Gaetano Galvagno (il presidente dell'Ars ndr) che di Luisa Lantieri (deputata del collegio di Enna amica di vecchia data di Cuffaro ndr) su Zappia a Enna», dice Cuffaro a Lombardo. Insomma, se il leader del Mpa alla fine avesse ceduto, Zappia avrebbe avuto la strada spianata per Enna. Nomina che alla fine effettivamente si concretizza. Tanto che Cuffaro si può vantare di avere «la golden share» sia ad Enna che a Villa Sofia con Colletti.

Salvo Cocina di sanità non si è mai occupato, eppure rientra di diritto tra i potenti dell'amministrazione regionale. Energy manager con Raffaele Lombardo; mandato da Rosario Crocetta come commissario della città metropolitana di Catania; tenuto in grande considerazione da Nello Musumeci, che lo ha promosso prima dirigente generale ai rifiuti e poi alla protezione civile; confermato da Schifani, di cui diventa uno dei più stretti collaboratori dopo avere guidato anche la cabina di regia per l'emergenza idrica. Secondo la Procura di Palermo, Cocina avrebbe messo questo ruolo a servizio del suo mentore Cuffaro: «Strategicamente collocato - scrivono i magistrati, che adombrano anche il sospetto di una mazzetta - nella miglior posizione possibile per sollecitare ed influenzare in quel settore le scelte del Presidente della Regione». Lo stesso Cuffaro, intercettato, ammette che «la Protezione Civile è la migliore… economicamente non c'è paragone». E aggiunge, sottolineando la fedeltà di Cocina: «Non solo è più importante per le cose che fa… perché Cocina se gli diciamo di pomparlo lo pompa!». D'altronde era stato proprio l'ex governatore democristiano, già nel 2005, a lanciare Cocina alla guida della protezione civile regionale. E lui da quel momento in poi è saltato da un'emergenza all'altra senza mai vedere tramontare la sua buona stella.

Di potere ne sa qualcosa anche Maria Letizia Di Liberti, dirigente generale alla Famiglia oggi indagata, rimessa in sella nel 2021 dal governo Musumeci dopo essere rimasta coinvolta nell'indagine sui dati dei contagi Covid falsificati. Con lei, scrivono gli inquirenti, il dipartimento era diventato il quartiere generale della Democrazia cristiana. E grazie a lei i bandi arrivavano agli amici della Dc prima che venissero pubblicati.

Di chi si può fidare Schifani? È un pensiero che ha tormentato il governatore nelle ultime 48 ore. Anche perché a tramare contro la sua riconferma sarebbe stato anche l'alleato ritenuto più leale: proprio Cuffaro. Che avrebbe confidato ai suoi fedelissimi un piano segreto. Lo storico segretario tuttofare Vito Raso, fra gli indagati, «dimostrava di conoscere, quasi in via esclusiva, - secondo gli inquirenti - le vere intenzioni di Cuffaro, interessato a candidarsi entro tre anni alla carica di presidente della Regione Sicilia». Lo stesso scranno a cui avrebbe aspirato nell'ombra anche il cerchio magico del presidente dell'Ars Gaetano Galvagno, come raccontato dalle carte di un’altra inchiesta dei pm di Palermo. Come dire: c’è una realtà edulcorata, quella ostentanta dai tanti “cortigiani” di Palazzo d’Orléans, e ce n’è un’altra, ben più tetra, rivelata da intercettazioni in cui gli stessi protagonisti, o i loro fedelissimi, raccontano tutt’altra verità. Forse d’ora in poi Schifani dovrebbe fidarsi di più dei brogliacci che dei comunicati stampa.