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il ritratto

Messina "gladiatore" anti-Schifani, voce della pancia di FdI: «Io un uomo libero»

Vendetta solitaria in nome del "revanscismo" musumeciano o strategia dei due forni per logorare Palazzo d'Orléans? Ecco cosa c'è dietro la crociata dell'ex golden boy meloniano

Mario Barresi

27 Ottobre 2025, 00:56

Messina "gladiatore" anti-Schifani, voce della pancia di FdI: «Io un uomo libero»

Fra Renato Schifani e Manlio Messina i rapporti sono stati quasi sempre tesi

Ogni mattina, in quel pezzo d’Africa che è la Sicilia, quando sorge il sole, la gazzella Renato si sveglia e sa già che dovrà correre più veloce del leone Manlio. Succede da poco meno di una settimana. Da quando, cioè, l’ex vicecapogruppo alla Camera di FdI ha cominciato a picconare Palazzo d’Orléans. Una raffica social, con un ritmo incalzante. Manlio Messina attacca, ad alzo zero, Renato Schifani. Senza filtri, senza giri di parole. Dalla messa in discussione della paternità dei risultati del governo regionale (i siciliani «non hanno l’anello al naso»,) all’allarme sugli 11 miliardi di Pnrr a rischio (un «fallimento» di cui è responsabile l’attuale governatore), fino al colpo basso sui 300mila euro al Trapani Calcio, che «ha come consulente suo figlio». La tesi di fondo è chiara: Schifani, che «continua a vaneggiare», «beneficia di anni di lavoro» del predecessore Nello Musumeci, dopo il quale «la Sicilia rischia di andare indietro» senza un «sussulto d’orgoglio».

Roba che manco Pd e M5S messi assieme. «Sogno o son desto? Benvenuto all’opposizione, Manlio», il sardonico commento di Ismaele La Vardera a uno dei post dell’ex meloniano ora esule al gruppo misto di Montecitorio. E in effetti è proprio così. Messina, negli ultimi giorni, è diventato una spina nel fianco di Schifani. Che non ha mai risposto ufficialmente. I due, per la verità non si sono mai amati. L’ex assessore, ad esempio, non gradì la linea dura del governatore sul caso Cannes, con il bonus (anzi: il malus) del sospetto che alcune carte sugli scandali del Turismo fossero state tirate fuori da “manine” interessate. Il presidente della Regione, da parte sua, ha sempre avvertito l’ostilità dell’ex leader siciliano della corrente turistica fino ad addebitargli alcune trame oscure contro il governo. E dire che ci sono state anche fasi di avvicinamento. Come quando, nell’ottobre del 2023, il governatore rese visita alla "Atreju on the beach", la kermesse organizzata a Brucoli proprio da Messina. Che, da padrone di casa, lo presentò come «un amico che ci ha onorato della sua presenza», ricevendo in cambio il pubblico merito dell’«internazionalizzazione della nostra immagine». Lo scorso marzo in un’intervista al nostro giornale, l’ex golden boy meloniano, sul bis di Schifani certificò il suo «ottimo lavoro», definendolo «il candidato naturale a succedere a se stesso» a meno che «non vada a fare il presidente della Repubblica e ne saremmo tutti felici».

Ma oggi tutto è cambiato. A partire dalla carta d’identità politica di Messina. Fuoriuscito da FdI, dopo le dimissioni da vicecapogruppo a Montecitorio, al culmine di un repulisti della classe dirigente siciliana che, col senno di poi, sembrava orchestrato soltanto per liberarsi di lui. E allora, si chiedono tutti nel centrodestra siciliano (e non solo), perché lo fa? Messina "kamikaze" che si fa esplodere contro Schifani che, come confidato ad alcuni amici, «in questi tre anni non ha fatto altro che attaccarmi alle spalle»? Oppure, a maggior ragione visto l’autorevole «torna a casa, Lassie» rivolto all’ex assessore a Ragalna dal ministro Musumeci (dopo aver sdegnosamente disconosciuto il governo attuale: «Nessuna continuità con il mio»), c’è qualcosa in più? Luca Sbardella, proconsole meloniano in Sicilia, continua a ripetere a tutti che «Manlio non è più nel partito e parla a titolo personale». E lo ha garantito anche allo stesso Schifani, con cui i rapporti sono altalenanti. Il commissario regionale di FdI non ha gradito di essere stato messo alla porta di Palazzo d’Orléans nel penultimo faccia a faccia e poi ha fatto la voce grossa nel vertice in cui il partito ha messo in mora il governatore sulle nomine della sanità. «Quando Renato era presidente del Senato - sibila un fedelissimo - questo qui era un portaborse del Pdl a Palazzo Madama». Oggi, però, le distanze si sono accorciate e il deputato laziale rappresenta il partito della premier in Sicilia.

Non abbiamo risposto alla domanda. Perché lo fa? «Sono un uomo libero ed esprimo le mie opinioni, non devo chiedere l’autorizzazione a nessuno», l’unica interpretazione autentica che Messina concede a La Sicilia. Il ritorno nel partito? «E per fare che? Era e resta casa mia. Ma il rientro, che qualcuno magari non gradirebbe, non è all’ordine del giorno». Ciò non esclude che possa continuare ad avere rapporti cordiali. Non soltanto con l’ex presidente del suo cuore, ma anche con il delfino Ruggero Razza, che Schifani ritiene essere il regista della fronda nostalgica musumeciana. Eppure la rete di Messina va ben oltre il "revanscismo". Qualche giorno fa, ad esempio, il deputato del gruppo misto è stato avvistato alla caffetteria "Duci" di Catania, in compagnia di Gaetano Galvagno e di Dario Daidone. Poco prima di lui, allo stesso tavolo, era passato a salutare il forzista Nicola D’Agostino. Schifani continua a rassicurare tutti sulla «ritrovata solidità» del rapporto con il presidente dell’Ars, ma gli alleati più fedeli non smettono di metterlo in guardia, anche in prospettiva del vertice di maggioranza di oggi su manovra regionale e altri posti di sottogoverno.

La verità sta in mezzo. Messina può non essere il "gladiatore" solitario né lo strumento di una sottile strategia dei «due forni» dei meloniani di lotta e di governo. E la sua crociata anti-Schifani, corroborata da telefonate e messaggi di congratulazioni da big siciliani del partito, è soltanto (si fa per dire) la voce della pancia di Fratelli d’Italia.