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L'opinione

Una nuova “statistica”: la sfida di misurare la felicità che conta

Dalla misura del benessere nazionale al valore del lavoro e alle scelte di vita delle nuove generazioni, la classifica e gli indici del World Happiness Report pubblicato dall'Onu

01 Novembre 2025, 10:00

Una nuova “statistica”: la sfida di misurare la felicità che conta

Non è la destinazione, ma un viaggio. Parliamo della felicità, la cui metrica non può essere unicamente il raggiungimento del successo, come status, ricchezza o carriera ai vertici. Guai se fosse così! Renderemmo la generazione Z ancora più infelice, se è vero che solo il 54% dei 20-30enni di oggi si dichiara soddisfatto della propria vita, contro il 70% degli over 60. Sempre più ricerche indicano che il benessere autentico non coincide con un trofeo finale ma con la qualità del cammino intrapreso ogni giorno.
A partire da qui, si può articolare una riflessione almeno su tre livelli.

Il primo livello è quello Paese. Se convenzionalmente la prosperità di una nazione si valuta con indicatori economici come il PIL, da tempo economisti e leader illuminati suggeriscono di andare oltre e includere le metriche della qualità della vita e della felicità. Già negli anni Settanta il piccolo Stato asiatico del Bhutan introdusse la Felicità Interna Lorda (FIL) come parametro nazionale, affiancando agli “economics” tradizionali criteri come salute, istruzione, vitalità delle comunità e benessere psicologico. Uno sviluppo davvero completo deve puntare non solo alla crescita materiale ma anche al benessere dei cittadini.

Su questa scia, ogni anno l’ONU pubblica il World Happiness Report che classifica i Paesi per livello di felicità percepita, basandosi sulle ricerche Gallup in tutto il mondo. I risultati più recenti (biennio 2022-24) sono eloquenti: la Finlandia risulta il Paese più felice al mondo; l’Italia è al 40° posto su 147 nazioni.

Ci sono inoltre le indagini su benessere e qualità della vita. È possibile anche arrivare a un dettaglio regionale, come nel caso delle graduatorie del Sole 24 Ore, di Italia Oggi e di Legambiente. Più puntuale la metodologia impiegata dal prof. Leonardo Becchetti nello studio sul benvivere e la generatività. Nei giorni scorsi, un gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Elita Schillaci (Università di Catania) ha presentato una ulteriore misura: l’indice Lift sulla pienezza della vita (personale, sociale e professionale). Rispetto ad altre dimensioni, questo indicatore non somma numeri, ma unisce significati e fornisce una mappa di calore delle regioni.

Il secondo livello è quello aziendale e dei luoghi di lavoro in generale. È lì che ancora la maggior parte degli italiani passa gran parte delle proprie giornate. Negli ultimi anni si è fatta strada la convinzione che dipendenti più felici rendano anche l’azienda più sana e produttiva. In alcune imprese è comparsa la figura del Chief Happiness Officer - ad esempio, la siciliana Cosedil ha previsto al suo interno questo ruolo - e curare il benessere organizzativo non è buonismo, ma una vera e propria strategia per promuovere una cultura aziendale positiva e inclusiva. Un ambiente di lavoro più sereno, umano e motivante si traduce spesso in maggiore creatività, minore assenteismo e turnover, migliore produttività. In altre parole, è felicità interna lorda anche in ufficio.

C’è infine un terzo livello. È il momento in cui il tema della felicità assume toni personali e delicati. Ad esempio, quando si tratta dell’esperienza di appagamento dei giovani alle prese con scelte di vita importanti. Cosa fare dopo la maturità. Quali decisioni assumere a conclusione degli studi universitari triennali. Come e dove posizionarsi nel mercato del lavoro dopo la laurea magistrale. I giovani meritano tutta l’attenzione degli adulti e soprattutto l’ascolto. Perché va fatto loro comprendere che la felicità non è una destinazione univoca, da centrare al primo colpo, ma un percorso fatto di aggiustamenti e scoperte dove contano pure la salute mentale e le relazioni affettive.

Lo ribadisce anche l’approccio innovativo nato a Stanford e divenuto famoso in tutto il mondo grazie al best seller “Design Your Life” di Bill Burnett e Dave Evans. Non esiste un unico piano perfetto già scritto, anzi esistono molteplici grandi vite dentro ognuno di noi. Sta a noi scegliere su quale vita costruire il futuro.