La campagna olivicole 2025
In Sicilia qualità e quantità, ma attenti ai dazi di Trump
Finalmente un'annata abbondante in grado di soddisfare il mercato
Ottima e abbondante la raccolta del 2025
Potrebbe andare finalmente tutto liscio... come l’olio. I presupposti ci sono ma, come al solito, il diavolo ci mette lo zampino. E nei panni del demonio, quest’anno, si palesa il presidente Usa, Trump, con quella guerra dei dazi che rischia di trasformare una produzione ben più che soddisfacente sotto tutti i punti di vista, dopo qualche stagione di magra, in una débâcle. Ne sa qualcosa (e qui lo spiega bene), Carmelo Scalia, presidente del Cofios, Consorzio Filiera Olivicola Siciliana, che puntualmente offre la sua analisi del comparto.
Le previsioni per la campagna olivicola siciliana del 2025 sembrano incoraggianti. Ci può dire qualcosa di più sui numeri attesi?
«Sì, possiamo dire che le prospettive sono decisamente soddisfacenti. La produzione isolana dovrebbe attestarsi intorno alle 35.000 tonnellate, un netto miglioramento rispetto alle 26.000 tonnellate del 2024, che è stato un vero annus horribilis per il comparto».
Quali sono stati i fattori principali che hanno inciso su questa ripresa produttiva?
«Le condizioni climatiche dello scorso inverno hanno giocato un ruolo importante: piogge regolari e temperature nella norma hanno favorito una buona allegagione dei fiori dell’olivo. Tuttavia, da giugno in poi la situazione è cambiata: temperature elevate e mancanza di piogge hanno creato notevoli difficoltà ai produttori, fino a compromettere parte del raccolto. A questo si è aggiunta la carenza strutturale dei canali di accumulo, che in molti casi non hanno distribuito l’acqua necessaria. Fortunatamente, le piogge di questi ultimi giorni potrebbero attenuare in parte i danni».
Come si presenta la situazione produttiva nelle varie province siciliane?
«La produzione è, come spesso accade, a macchia di leopardo. Abbiamo risultati buoni a Catania e Palermo, medi a Siracusa, Ragusa, Trapani e Messina, mentre Agrigento registra una campagna più scarsa».
E per quanto riguarda la qualità dell’olio?
«L’olio siciliano tornerà sulle tavole dei consumatori di tutto il mondo con parametri di alta qualità. L’estate torrida ha avuto un lato positivo: ha impedito la proliferazione della mosca olearia, quindi ci aspettiamo un olio eccellente. Diversamente da altre regioni italiane, dove l’insetto ha causato danni notevoli, in Sicilia la qualità è salva».
A livello nazionale, come si colloca la Sicilia rispetto alle altre regioni produttrici?
«In Italia le previsioni per il 2025 parlano di circa 300.000 tonnellate di olio. La Puglia resta leader con 150-160mila tonnellate, seguita da Calabria con 40.000 e poi la Sicilia. A livello mondiale, l’Italia dovrebbe tornare al terzo posto, dopo la Spagna – che si conferma prima con oltre 1,5 milioni di tonnellate – e la Tunisia, che dovrebbe produrne circa 450.000. Produzione stabile in Grecia, in calo invece la Turchia».
Parliamo di export: come sta andando l’olio siciliano sui mercati esteri?
«Direi bene. Nonostante l’aumento dei costi della scorsa annata, l’export dell’olio siciliano è in salute. Le denominazioni IGP Sicilia e le sei DOP regionali – Monte Etna, Val di Mazara, Valli Trapanesi, Monti Iblei, Valle del Belice e Valdemone – sono molto apprezzate. Crescono le esportazioni verso Giappone, Canada e Unione Europea. Persino nei Paesi dell’Est Europa, tradizionalmente consumatori di burro, si sta diffondendo la cultura dell’olio grazie alla dieta mediterranea».
E il mercato americano?
«Il mercato Usa rappresenta da solo circa il 50% dell’export siciliano, ma purtroppo i dazi del 15% introdotti dall’amministrazione Trump rischiano di penalizzare pesantemente il settore. Temo un calo significativo degli ordini, con conseguenze gravi per le nostre aziende».
Quindi anche i consumatori americani potrebbero risentirne?
«Esatto. L’aumento dei prezzi sugli scaffali dei negozi gourmet statunitensi potrebbe spingerli a orientarsi verso oli di qualità inferiore o addirittura verso prodotti imitazione, quelli del cosiddetto “Italian Sound”, che nulla hanno a che vedere con l’autentico olio siciliano».
In conclusione, qual è l’auspicio per il futuro del comparto olivicolo siciliano?
«Che l’olio siciliano venga tutelato e valorizzato dagli organi competenti. Le nostre aziende, già provate dal cambiamento climatico, hanno bisogno di certezze e di un sostegno concreto per continuare a rappresentare l’eccellenza del made in Sicily nel mondo».