l'intervista
Carmen Consoli torna live: «Ribelliamoci a guerre, potere, violenza. La bellezza ci salverà»
La cantantessa si racconta: il nuovo disco, Impastato, la Sicilia, l'agonizzante Catania. Sarà in concerto a Palermo e a Catania con "Amuri Luci" e le sue hit
Carmen Consoli è tornata con nuove parole. Antiche e contemporanee: scavano nelle nostre radici, parlano della nostra storia, incrociano le lingue che ci hanno contagiato - latino, greco antico, arabo, volgare, siciliano – ma raccontano sempre il nostro presente.
Lei che sa trovare le parole dei nostri sentimenti, gli affetti più veri, le paure, la rabbia, è tornata con un disco intenso, colto, da scoprire come una poesia preziosa, “Amuri Luci” (Narciso Records/Warner Music), in cui strumenti tradizionali - mandolino, friscaletto, marranzano - suonano insieme a note moderne, e con un tour che fa tappa (per Puntoeacapo) il 16 e il 17 novembre al Politeama di Palermo e mercoledì 19 e giovedì 20 al Metropolitan di Catania.

La bambina impertinente che voleva fare la rockstar, la donna che è rimasta fedele a se stessa fa un tuffo nella memoria in un disco che è invettiva, impegno contro mafia e guerra, come in “Amuri Luci”, “Mamma tedesca”, canto d’amore, in “Nemici di l’arma mia”, zampata di ironia, come nella divertente “3 oru 3 oru”, su musiche anni 60. Un viaggio nel tempo parte di una trilogia che corrisponde alle anime della cantantessa: il rock, la canzone d’autore, la musica popolare.
«Le ho sempre combinate insieme, adesso ciascuna ha un concept album – spiega al telefono tra battute, canzoni, pezzi di vita quotidiana, mentre in auto sta raggiungendo Udine per un concerto – Nel primo c’è l’anima siciliana, ci sono le radici, un progetto che ho sviluppato con il prof Gianfranco Iannizzotto e con Mario Incudine, per “maneggiare” il latino, il greco antico di Teocrito, il poeta di Siracusa, parte del nostro dna, della nostra memoria».
Ci sono echi d’Oriente nel brano “La Terra di Hamdis”, che canti con Mahmood.
«Seguo le tracce di Battiato, ho preso una poesia meravigliosa di Hamdis, una storia di migrazione, il dolore di chi se ne deve andare. Poi c’è il Dolce Stilnovo di Ninetta da Messina. La poesia nasce in Sicilia con Jacopo da Lentini, l’inventore del sonetto. Nina è la prima poetessa in volgare italiano, la prima che canta l’amore verso un uomo. E questa donna che afferma se stessa è siciliana».
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“Giuvanni, isamula sta vuci”, canti nel brano “Amuri luci” dedicato a Impastato. Abbiamo ancora bisogno di alzare la voce, di farci sentire?
«Il siciliano mi tira fuori la vanniata, un modo diverso di cantare, più a voce alta, mentre in italiano tendo a sussurrare, quasi a cantare sotto voce. Volevo scrivere una canzone su Peppino, l’ho scritta per Giovanni che per tutta la vita ha mantenuto la memoria di suo fratello. In ogni pezzo c’è il bisogno di alzare la voce contro la violenza, la guerra, il potere. Tutte le cose per cui noi facemu gl’indifferenti n’mezzu a fudda, però ni lamintamu. Un bisogno universale. Anche nelle città del nord, quando interpreto “Parru cu tia”, dalla poesia di Buttitta, a metà brano c’è l’applauso. E’ un invito a scendere in piazza, a ribellarsi, alle situazioni anche internazionali che stiamo vivendo».
Un brano che nel disco canti con Jovanotti.
«Nel concerto appare sullo schermo con la coppola e il dito puntato. Volevo qualcuno che cantasse l’hip hop, la protesta. E chi poteva dire qualcosa di importante se non il signor Lorenzo? E’ stato di una generosità fuori dal comune».
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Siamo una “terra ca nun senti”?
«Rosa Balistreri era avanti quando cantava “Terra can un senti, ca non voi capiri, ca non dici nenti virennumi muriri, terra ca nun teni cu non voli partiri” – intona al telefono - Una volta erano i siciliani che partivano per andare a lavorare, la terra era povera, anche perché i sabaudi ci avevano levato tutto, e sorda e nulla faceva per trattenerci. Oggi la terra che non sente è diventata l’Italia, i giovani vanno tutti fuori, i medici, gli infermieri, gli ingegneri».
E la Sicilia?
«Ho letto da poco che il numero più alto di nuove imprese è in Sicilia, un segnale importante. Vedo che c’è una diffusione della nostra cultura, della lingua. Penso alle cantanti di X – Factor ma anche a Rosalia, che ha cantato un brano in siciliano. E’ un momento in cui questa lingua si fa sentire anche con ciò che si porta dentro, la forza delle donne, la capacità di resistere, la dignità silenziosa, l’aristocrazia d’animo. Una lingua dalla forza carnale».
La Sicilia è la terra del mito?
«Galatea, cui è dedicato un brano, mi è stata sempre a cuore perché la sua storia è meravigliosa, ed è il filo rosso che unisce i tre album. E io che sono stata Elettra, Eva, io che sono stata tutte le donne da Maria Catena in poi, non potevo non essere Galatea. Mi livai magari stu sfiziu - dice ridendo con il suo siciliano saporito - La natura di Polifemo, innamorato della ninfa Galatea - non è umana, è un ciclope, un mostro che l’amore nobilita. Oggi, invece, è assurdo come l’amore possa trasformare un uomo in mostro».
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Come sarà il concerto?
«Come se fossero due anime, due atti. Nel primo ci sono i brani del nuovo disco con una struttura molto teatrale, con installazioni visive realizzate da un artista di video arte di Berlino. Nel secondo c’è un’altra Carmen, riprendo anche brani del mio primo album “Due parole” che non faccio da un secolo».
In questi anni sei stata in tour in Italia e all’estero, hai cantato con Elvis Costello, hai fatto un disco sulla Balistreri, colonna sonora del film “L’amore che ho”. Eppure c’è chi si chiede dove sei stata.
«Quest’anno fici tre dischi! - ride – Ma oggi c’è differenza tra chi fa la tv e chi fa il lavoro dell’artista. Il personaggio che ha una certa visibilità non sempre fa il musicista di mestiere, il musicista che magari fa 50 date non sempre è un personaggio con alta visibilità perché le due cose oggi non corrispondono. Preferisco fare la musicista, è il mio lavoro, quello che so fare meglio. Così a mio figlio non viene il complesso di avere una madre ingombrante. Nessuno mi conosce, i suoi compagni non sanno chi io sia. Non è “figlio di”, cresce libero da Carmen. Gli piace la musica, suona il contrabasso, la chitarra, mi aiuta tanto».
Per tuo figlio Carlo hai scritto: «Come posso figlio mio / insegnarti a rispettare le idee, le debolezze altrui, le piante e le zanzare / in questa giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore / il mito della clava e del terrore».
«L’esempio di oggi è l’uomo con la clava, quello he passa è che vince chi è più forte. Trump che voleva il Nobel per la pace pone ultimatum: o accettate questa intesa oppure soluzione finale. Ricostruirà Gaza, ma ha già detto secondo la logica del libero mercato. Non mi sembra normale che oggi chi è più forte sovrasti il più debole. Come si può inveire contro gli italiani che scendono in piazza per dire che non è giusto che eserciti armati se la prendano con i civili. E rispondere che sono pagati da Hamas».

Vivi in centro a Catania, la città è cambiata?
«E’ agonizzante. Potrebbe fare di meglio, ma dipende soprattutto dagli abitanti, da noi. Per fare 100 metri prendiamo la macchina. C’è una metropolitana bellissima, perché non la usiamo? E poi in macchina tutti sono nirvusi. Quanti siete in famiglia? Quattro. E quante macchine avete? Sei. Questi siamo. Stanno piantando tanti alberi e questo mi dà speranza. Ma ci sono tante contraddizioni che non fanno vivere con leggerezza, è difficile la burocrazia, difficile parcheggiare l’auto: tre volte sotto casa mi hanno rotto i vetri. Le amministrazioni devono occuparsi di molte cose ma quando il cittadino interviene attivamente i risultati si vedono. Bisogna avere cura della propria città. A tò casa abbii a munnizza ndo salottino?».
Cosa fare, come cambiare?
«La risposta? La vera rivoluzione è la cultura. Soldi e ricchezza sono un’illusione. La cultura ci salverà, un esercito di maestri ci salverà. Ricordate il discorso di Peppino Impastato ne “I cento passi”? Dobbiamo rieducarci alla bellezza, all’estetica dei sentimenti, dell’agire, della poesia, delle priorità della vita. Ricominciare dalla bellezza».