Cronaca
Migranti bangladesi torturati a Vittoria, il sogno di un lavoro finisce in una prigione
In due torturati e messi in una cella-tugurio da quattro connazionali ora in carcere. Si erano fatti pagare un riscatto di 20mila euro
Su delega della Procura della Repubblica di Catania – Direzione distrettuale antimafia, la Squadra mobile della Questura di Ragusa ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro cittadini bengalesi di 25, 34, 43 e 33 anni.
Sono ritenuti gravemente indiziati di sequestro di persona a scopo di estorsione e tortura aggravata, ai danni di connazionali appena arrivati in Italia.
Tre indagati sono stati rintracciati ed arrestati, mentre il quarto risulta al momento irreperibile. Resta ferma la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva.
Secondo l'impostazione accusatoria, condivisa dal gip, l'inchiesta – coordinata dalla Dda e condotta dalla Sezione Criminalità Straniera della Squadra mobile di Ragusa – ha ricostruito un episodio di brutale violenza avvenuto lo scorso settembre nel territorio di Vittoria. Le vittime, due migranti del Bangladesh giunti regolarmente attraverso il decreto flussi, sarebbero state adescate con la falsa promessa di essere accompagnate presso un'azienda per l'assunzione e la stipula di un contratto.
Invece, sarebbero state condotte in una casa rurale nelle campagne di Vittoria, trasformata in una prigione. Stando alle indagini, i due giovani sarebbero stati privati dei telefoni, separati e rinchiusi in stanze diverse, legati mani e piedi – anche con catene – e picchiati con spranghe di ferro e tubi di metallo, oltre a subire tentativi di strangolamento.
L'obiettivo, secondo gli inquirenti, era costringerli a contattare le famiglie per ottenere il versamento di denaro in cambio della liberazione. La minaccia sarebbe stata aggravata dalla presunta ostentazione di legami con la criminalità organizzata, allo scopo di incutere ulteriore terrore. La violenza sarebbe proseguita ininterrottamente per ventiquattro ore.
Gli autori avrebbero organizzato la detenzione in modo che ciascuna vittima potesse udire le urla dell'altra, senza conoscerne le condizioni, e avrebbero telefonato ai familiari per far ascoltare in diretta le grida durante le percosse, così da aumentare la pressione e accelerare il pagamento. Solo dopo la corresponsione del “prezzo della liberazione”, quantificato in circa 20.000 euro, i due sarebbero stati allontanati dal luogo, comunque scortati e minacciati di ulteriori ritorsioni qualora avessero contattato le forze dell'ordine.
Il modus operandi, evidenziano gli investigatori, richiama pratiche già osservate in precedenti indagini a carico di torturatori legati alle reti di trafficanti attivi nei ghettos e nelle connection houses in Libia, dove i migranti venivano sequestrati e torturati – talvolta con videoriprese diffuse agli stessi familiari – e costretti a pagare somme di denaro. In questo caso, la condotta sarebbe stata replicata in Italia, sfruttando un'abitazione isolata, idonea a garantire l'azione indisturbata del gruppo.
L'ordinanza emessa dal gip di Catania è stata dunque eseguita nei confronti di tre soggetti; il quarto è ricercato. Le indagini proseguono.