L'anniversario
Dieci anni di monsignor Lorefice a Palermo: "Siamo entrati nel cuore gli uni degli altri"
A dieci anni dall'ingresso a Palermo, Corrado Lorefice traccia un bilancio: cura delle ferite della città, prossimità ai poveri e invito alla sinodalità.
Dieci anni fa, il 5 dicembre 2015, monsignor Corrado Lorefice faceva il suo ingresso a Palermo.
Proveniva da Modica, dove coltivava con dedizione il suo “piccolo orto”, chiamato da Papa Francesco ad accudire un “giardino più grande e impegnativo”: l’Arcidiocesi palermitana.
Oggi, a un decennio di distanza, il presule ripercorre quel tratto di strada con emozione, riconoscenza e lucidità. La celebrazione appena conclusa in Cattedrale è diventata l’occasione per rievocare un cammino condiviso. «Per dieci anni siamo entrati nel cuore gli uni degli altri», afferma.
Nel suo sguardo ritornano i pastori che lo hanno preceduto, dal cardinale Ernesto Ruffini al cardinale Paolo Romeo, che lo consacrò proprio in questo stesso tempio. È la continuità della Chiesa: una storia che si tesse con fedeltà e creatività, senza indulgenza alla nostalgia, ma con il desiderio di interpretare i segni dei tempi.
Lorefice richiama spesso il Regno di Dio come un «già e non ancora». In questo decennio, la sfida non è stata solo liturgica o pastorale, ma profondamente umana: ascoltare i bisogni della città, incrociare lo sguardo delle sue ferite, delle povertà, delle paure.
Palermo, ricorda, non è immune alla sordità e alla cecità del nostro tempo. Guerre, violenze, ingiustizie, mafia: la tentazione di chiudersi e di lamentarsi è forte. Ma il Vangelo chiede altro: prossimità, fraternità, vicinanza concreta.
«Se non fai parte della soluzione, fai parte del problema», ammonisce, citando Papa Giovanni XXIII e Dietrich Bonhoeffer. Per l’arcivescovo, la speranza nasce dal gesto tangibile, dal tocco che guarisce. «Cristo non ha mani se non le nostre», ripete, sottolineando che il Regno non è magia, ma l’impossibile che prende forma quando uomini e donne diventano samaritani, capaci di medicare le ferite della città.
In questa prospettiva, la Chiesa è sinodo: camminare insieme, nell’ordine dell’amore. È l’invito che Lorefice rinnova alla diocesi a dieci anni dal suo arrivo: «Andiamo avanti insieme», con la discrezione di chi si percepisce anzitutto fratello prima che guida.
Nel saluto finale, un’immagine lieve e potentissima: «Accetto di perdere tutto, perché il nido nel mio petto sia vuoto e chiamante». Così il vescovo intende il servizio: mani aperte, cuore disponibile, sull’esempio di Maria, “Vergine fatta Chiesa”.
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