CRISI IDRICA
Siciliacque: «Erogazione presto ridotta del 75%». E Agrigento rischia di restare a secco
Missiva della partecipata alla Regione: «Ipotesi di fallimento, disservizi estesi in tutta la Sicilia»
C’è una lettera pesantissima arrivata la scorsa settimana sul tavolo del presidente della Regione Renato Schifani. La firmano i tre consiglieri, nominati dallo stesso governatore, di Siciliacque, la partecipata regionale che si occupa di gestione idrica nell'isola su scala di sovra ambito.
La missiva dice tre cose. Primo: Siciliacque si vedrà costretta in tempi strettissimi a ridurre l'erogazione dell'acqua in provincia di Agrigento a 50 litri al secondo, uno scenario che metterà in ginocchio la città dei Templi e la sua provincia.
Secondo: la decisione è diventata necessaria a fronte del debito da 22 milioni di euro di Aica, l'azienda idrica agrigentina, nei confronti di Siciliacque. Se non si procederà, la partecipata della regione rischia il fallimento «con disservizi estesi» in tutta la Regione e la compromissione degli importanti investimenti in corso di realizzazione.
Terzo: il socio privato Italgas è risoluto, quindi «prima di qualunque determinazione, non ci si può che rimettere, considerata la gravità delle circostanze sopra rappresentate, all’indirizzo politico».
A firmarla sono Salvatore Castrovinci, presidente del Cda, e i consiglieri Bruno Cilento e Francesca Spedale. La lettera porta la data del 14 novembre, ma dalla Regione finora non c'è stata alcuna risposta. Anzi, qualcuno sospetta che la risposta possa essere un azzeramento delle cariche da parte di Schifani.
È una bomba ad orologeria quella che rischia di esplodere nel settore dell'acqua in Sicilia occidentale. Partiamo dal tema che sta a più a cuore i cittadini: oggi solo la città di Agrigento può contare su circa 200 litri al secondo, quantità con cui si riescono a garantire mediamente due turni di erogazione a settimana. Lo spettro di una riduzione del 75% di acqua metterebbe la città in ginocchio. Lo ammettono gli stessi consiglieri di Siciliacque nella lettera inviata a Schifani: «la riduzione del quantitativo di acqua fornito è misura assai sensibile, da cui potrà derivare un forte attrito sociale», «con rilevanti ricadute sociali, economiche ed infrastrutturali». D'altra parte c'è la questione contabile. «È noto - si legge ancora nella lettera - che la Società subisce, oramai da anni, una forte morosità nei due ambiti territoriali di Trapani e di Agrigento, che coprono circa il 50% della sua attività, e pur ha continuato responsabilmente ad erogare il servizio». In particolare la situazione di Agrigento ha radici profonde, iniziata col socio privato Girgenti Acque, fallito nel 2021, che ha lasciato in dono a Siciliacque un debito di 33 milioni di euro, e proseguita dalla «persistente insolvenza di Aica, attuale gestore unico, nei cui confronti la società ha maturato un credito di oltre 22 milioni di euro, oltre interessi di mora, per il servizio reso». Somma che «si incrementa di giorno in giorno».
Per recuperare il credito Siciliacque ha proceduto con decreto ingiuntivo, a cui Aica si è opposta, che adesso è diventato titolo esecutivo. Ma «i tempi della giustizia mal si conciliano con le crescenti criticità finanziarie e, a breve, la società non sarà più in grado di assolvere con regolarità ai pagamenti». Ecco perché «si trova a dovere valutare ogni misura necessaria ed utile a contenere i costi». Ridurre il quantitativo di acqua a 50 litri al secondo è previsto «dall'ordinamento vigente e dell'Arera, previo preavviso e continuando a garantire le utenze non disalimentabili (ospedali, casi per anziani e le utenze vulnerabili in generale)». Siciliacque ha già mandato il preavviso ad Aica e «terrà conto delle perdite di acquedotto dichiarate dal gestore unico (in media il 57% in provincia di Agrigento ndr). Si stanno ora approfondendo le modalità per la corretta e legittima attuazione della misura».
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Insomma, tutti i passaggi formali sono stati fatti. Resta solo da chiudere i rubinetti. Se non si farà, Siciliacque «arriverà presto ad uno stato di insolvenza, che aprirà il percorso delle procedure concorsuali. Ciò - si legge ancora nella lettera - comporterà un disservizio, non solo per l’ambito agrigentino, ma per i più ampi territori cui viene fornita l’acqua all’ingrosso: gli ambiti territoriali di Trapani, Caltanissetta ed Enna (pressocché totalmente), gli ambiti di Palermo e di Messina (interessati in misura considerevole) ed un Comune del catanese ed uno del ragusano».
Dallo scorso luglio i sindaci della provincia di Agrigento hanno messo alla guida di Aica Danila Nobile, commercialista di Naro vicina a Fratelli d'Italia e alla Dc. Nobile ha provato la mediazione, avanzando una proposta transattiva, in sostanza uno sconto sul mega debito verso Siciliacque, da 22 a 14,5 milioni di euro, e sollecitando l'aiuto del presidente Schifani. Proposta caduta nel vuoto. Dall'altra parte Nobile ha avviato una serie di controlli sul territorio e di richieste di pagamento ai Comuni morosi, suscitando le ire di alcuni sindaci, anche del centrodestra, che non riconoscono i crediti vantati da Aica. Una situazione di attrito che avrebbe infastidito anche il presidente Schifani. Pochi giorni fa Nobile ha reso pubblici i primi numeri. Ed è spuntata la cifra record di 77mila morosi in tutta la Provincia. «Stiamo incrociando dati catastali, Tari, attività economiche e mappature del territorio - ha detto la presidente di Aica - Dalla prima analisi delle utenze idriche in provincia, emerge una stima di oltre 55mila utenze domestiche e ulteriori 22mila utenze ad usi diversi non allacciate o irregolari da verificare».
All'attività di regolarizzazione, Nobile avrebbe sperato di accompagnare un aiutino economico da parte di Schifani. Che finora però non c'è stato. Anzi. Nella legge di stabilità si affronta il caso Trapani (e in misura minore Messina), l'altra trincea che appesantisce i conti di Siciliacque. A Trapani l'Ati non ha proceduto all'affidamento del servizio al gestore unico, come previsto dalla normativa. E Siciliacque continua a erogare acqua. Per questo il governo intende destinare 19 milioni di euro alla partecipata nel 2026 sotto forma di prestito. Somme che verranno decurtate nei prossimi dieci anni direttamente ai Comuni come «trattenuta a valere sui trasferimenti del Fondo autonomie locali». La decisione non piacerà affatto ai sindaci del Trapanese e aprirà un nuovo fronte.
Nell'ultimo anno, in realtà, la Regione ha destinato in emergenza a Siciliacque 100 milioni di euro per la costruzione dei tre dissalatori mobili a Gela, Porto Empedocle e Trapani e altri 67 milioni per la gestione triennale che sarà totalmente a carico delle casse regionali. Risorse ingenti, tuttavia oggi dalla partecipata si alza l'allarme per il rischio fallimento. Con lo scenario peggiore: investimenti sulla rete idrica fermi e dissalatori spenti.
