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L'inchiesta

Stragisti, golpisti e vili sicari: ecco chi sono gli irriducibili di Cosa nostra al 41 bis

Dagli ultimi arrestati nel maxi blitz dei 180 ai vecchi corleonesi: i detenuti palermitani al "carcere duro"

Laura Distefano

13 Novembre 2025, 13:25

13:28

41bis palermo racconto

Soffia il vento del “Grande Inverno” nella mafia palermitana. La raffica di arresti dello scorso febbraio ha provocato uno tsunami all’interno di Cosa nostra. Ma la mafia, purtroppo, ha sempre dimostrato che anche dopo i blitz è capace di rialzarsi. E riorganizzarsi. Ma la Dda diretta dal procuratore Maurizio de Lucia ha guardato oltre chiedendo per alcuni dei capi-mandamento l’applicazione del regime del 41bis. Per evitare qualsiasi filtro. E qualsiasi possibile tentativo di dare, anche solo, suggerimenti. Partiamo, quindi, dai più recenti decreti di “carcere duro” firmati dal ministro Carlo Nordio nei confronti dei mafiosi palermitani. Alcuni sono finiti nei faldoni maestosi della maxi inchiesta che ha raso al suolo quattro mandamenti. È scattato ad aprile il 41bis nei confronti di Francesco e Gabriele Pedalino della “famiglia” di Santa Maria di Gesù. Padre e figlio erano già detenuti per l’omicidio di Mirko Sciacchitano avvenuto il 3 ottobre 2015 in via della Conciliazione, a Falsomiele. Pedalino junior, grazie a un telefonino in cui era installata l’applicazione “signal”, sarebbe riuscito, nonostante la detenzione, a mantenere i contatti con l’esterno. Ora la sua corrispondenza (e quella del papà) passa dai “controlli preventivi”.

Risale sempre ad aprile il provvedimento del 41bis nei confronti di Giuseppe Auteri “u vassoio”, uno dei pezzi da novanta del mandamento di Porta Nuova che ingloba il cuore pulsante della città di Palermo, con i rumorosi e caratteristici mercati di Ballarò e della Vucciria. Auteri lo hanno catturato l’anno scorso, dopo una latitanza di qualche anno. Era sfuggito all’operazione “Vento” nel 2021. Qualcuno lo cercava all’estero, invece il boss aveva trovato rifugio in un appartamento vicino la stazione centrale, in via Recupero. Quando fecero irruzione gli investigatori sequestrarono anche dei fogli manoscritti. Una sorta di libro mastro del clan mafioso. Ma i recentissimi decreti non sono terminati. Altri uomini di peso di Porta Nuova sono stati sottoposti dalla scorsa primavera al 41 bis. Precisamente Calogero Lo Presti (classe 1975) e Tommaso Lo Presti detto “u pacchiuni”, per distinguerlo dal cugino omonimo. Ma a marzo è partita la richiesta di applicazione del decreto anche nei confronti di altri due del blitz dei 180. E cioè Domenico e Nunzio Serio del mandamento di Tommaso Natale- San Lorenzo. Ma ancora non è arrivata la risposta ministeriale all’istanza dei procuratori antimafia. E sono diverse anche le richieste di proroga di 41bis avanzate nei confronti di decine di boss palermitani.


Andrea Adamo è il primo della lista - ma solo per un fatto alfabetico - dei palermitani inseriti al regime di “carcere duro”. Il boss di Brancaccio fu arrestato nel 2007 assieme ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Non solo condanne per mafia nel suo curriculum criminale, ma anche omicidi. Adamo sta scontando l’ergastolo per gli omicidi di Lino Spatola e di Nicola Ingarao del 2006 e 2007.

Scorrendo ancora il lungo elenco di oltre 60 nomi ci si imbatte nei sopravvissuti delle guerre di mafia. Giuseppe Agrigento, di San Cipirello, anni ne ha 84. Esponente del mandamento di San Giuseppe Jato: era un alleato dei Brusca. Ed era anche un sicario. Spietato. Il 41bis gli arrivò nel 1997. Leoluca Bagarella è uno di quelli che forse non ha bisogno di molte presentazioni. Cognato del capo dei capi Totò Riina, rappresenta l’élite della frangia stragista di Cosa nostra. Condannato per i due attentati (Capaci e via D’Amelio) del 1992 in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Ma le sue mani sono sporche del sangue anche del piccolo Giuseppe Di Matteo e del capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano. Bagarella avrebbe voluto portare la strategia della tensione fino a Catania: non accettava infatti la diplomazia con cui si muoveva il padrino etneo, Nitto Santapaola. E, infatti, decise di fare “uomo d’onore” Santo Mazzei, sicario spietato. Bagarella - arrestato nel 1995 - arrivò fin sotto il Vulcano nella primavera del 1992 per partecipare alla cerimonia di affiliazione del “carcagnusu” catanese. Ma il piano per spodestare Santapaola dal trono fallì: Mazzei fu arrestato nel novembre del 1992. I corleonesi però il progetto del golpe mafioso a Catania lo misero in standby. E infatti lo tirarono fuori dal cassetto qualche anno dopo. Erano programmati una serie di omicidi. Ma una talpa fece saltare tutto. E a morire fu Massimiliano Vinciguerra, il delfino di Mazzei, che riceveva gli ordini direttamente dal carcere dal suo capo attraverso un telefono satellitare.


I Biondino sono un cognome (mafioso) potente a San Lorenzo. Salvatore, 72 anni, è stato ai vertici del mandamento. Da qualche mese gli è stata notificata la proroga del 41bis: Biondino godeva della fiducia di Riiina in persona. Così come Salvatore Biondo che avrebbe avuto un ruolo operativo nella strage di via D’Amelio. Pippo Calò, padrino di Porta Nuova e cassiere di Cosa Nostra, ha trascorso metà della sua vita in carcere (regime “duro”). Lo scorso 30 settembre ha compiuto 94 anni.
Dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano si continua a parlare senza sosta fino ad oggi. I loro nomi si innescano nei grandi misteri d’Italia e sono protagonisti anche del processo sulla ‘ndrangheta stragista. Furono arrestati a Milano nel 1994: nella capitale finanziaria e della moda d’Italia facevano la bella vita. Auto e ristoranti di lusso. Il 41bis è scattato l’8 marzo 1994: l’ultima proroga, invece, è dello scorso maggio.
Filippo Guttadauro, nato a Bagheria il 30 novembre 1951, fu l’occhio di Matteo Messina Denaro a Palermo per averne sposato la sorella Rosalia, quella che nascondeva il pizzino che diede il là alla storica cattura del super latitante trapanese, morto al carcere de L’Aquila nel 2023. Dallo scorso agosto è in regime di 41bis Raffaele Urso, considerato uno dei fiancheggiatori di Messina Denaro. L’anno scorso, però, è uscito per decorrenza dei termini: ma la sua libertà è durata una manciata di mesi. A febbraio, infatti, è tornato in gattabuia. Il cerchio dei palermitani al carcere duro li chiudono i due ergastolani di Partinico, i fratelli Leonardo e Vito Vitale “fardazza”. Fu proprio Vito Vitale l’autore della lista dei santapaoliani da fare fuori nel 1998. Ma poi le cose andarono in tutt’altro modo. Con altri morti ammazzati, ma nelle file dei “golpisti”.