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La lettera

Etna, «Parco bloccato»: il rischio è che l’Unesco molli il vulcano

Il commissario straordinario dell’ente parla di dipendenti, anche dirigenti, che «non hanno saputo, o voluto» lavorare

Luisa Santangelo

19 Ottobre 2025, 10:33

Etna, «Parco bloccato»: il rischio è che l’Unesco molli il vulcano

Perfino chi ha sempre contestato il suo monopolio dei servizi sull’Etna è costretto ad ammetterlo: «È che Francesco Russo Morosoli tutti i torti non ha». La decisione — senza richieste di autorizzazioni né notifiche — di mettere un biglietto d’accesso (5 euro) per i Crateri Silvestri, a Etna sud, è quantomeno controversa. Ma quando l’imprenditore se la prende col Parco, lamentando l’assenza di risposte, lì gli arriva solidarietà pressoché unanime. E la comprensione anche di chi dentro al Parco dell’Etna ci lavora: 21 dipendenti, tre dei quali dirigenti, eppure una lentezza da pachiderma che rischia perfino di fare perdere il riconoscimento di patrimonio dell’Unesco.

Che negli uffici dell’ente Parco più di qualcosa non vada come dovrebbe lo ha scritto nero su bianco il commissario straordinario, parlando di «una lunga serie di criticità e disfunzioni di varia natura, e ritardi nell’attuazione delle procedure», in una lettera del 26 giugno 2025. Rimasta senza risposta. Giovanni Riggio è arrivato da Palermo a novembre 2024. E forse è questo, assieme alle parole durissime rivolte alla struttura che gestisce, a renderlo quasi un alieno. Adesso i suoi giorni da sostituto del presidente dovrebbero essere terminati: a breve il sindaco di Gravina di Catania Massimiliano Giammusso dovrebbe insediarsi alla presidenza, ruolo per cui è stato designato settimane fa dall’assessora regionale al Territorio Giusi Savarino. È pronto ad arrivare anche il nuovo direttore reggente Giuseppe Battaglia, dirigente generale del dipartimento Urbanistica dell’assessorato, indicato la scorsa settimana in sostituzione di Giuseppina Rita Gammacurta.

Giammusso e Battaglia dovranno occuparsi, ciascuno per la sua parte, di prendere in mano l’ente Parco. Partendo dalla fotografia impietosa (simile a quella che potrebbe riguardare altre strutture dello stesso tipo) scattata da Riggio: vero è che la pianta organica vorrebbe 60 unità e ce ne sono un terzo, però è vero anche che ci sono «concreti e tangibili problemi relazionali tra colleghi, contrapposizioni talvolta cruente, mancanza di comunicazione e della più elementare disponibilità alla collaborazione». In questo clima da «Guerra dei Roses», qualcuno che lavora bene c’è, ma è costretto a fare più del dovuto «per compensare chi invece non fa ciò che dovrebbe in modo più appropriato». Il commissario ricorda di avere scritto decine di email e PEC, ma tra i dipendenti — anche dirigenti — non tutti «hanno saputo, o voluto, recepire e attuare suggerimenti, proposte, inviti e diffide ad adempiere, con grave nocumento».

L’atmosfera la si percepisce anche osservando l’iter delle procedure per ottenere le autorizzazioni, come denunciava Russo Morosoli: anni in attesa di un permesso. O, magari, di un diniego che ponga limiti ai privati. L’ente, dice ancora il commissario, è «ormai impantanato in un impasse» che non rende giustizia a un vulcano che «vive di luce propria e da solo attrae milioni di visitatori l’anno». Ma che avrebbe bisogno di un Parco «più autorevole», con una «strategia di fruizione, specialmente delle aree sommitali, che oggi non ha, limitando il proprio ruolo a una mera attività autorizzativa, spesso tardiva». Insomma, il Parco dell’Etna è un passacarte e non è nemmeno capace di mantenere i rapporti con l’Unesco, mettendo di fatto a rischio il mantenimento del riconoscimento. Perderlo sarebbe una figuraccia globale, ma la questione «nonostante mille solleciti» pare «sia stata sottovalutata». Nella lettera, e in alcuni degli atti gestionali che l’hanno preceduta, i correttivi ci sarebbero. Manca chi li ascolti.

«L’Etna è maltrattato», afferma Giusy Belfiore, presidente dell’associazione Guide turistiche di Catania. «A Etna nord non c’è niente e a sud la disorganizzazione è sovrana: la scorsa settimana c’erano migliaia di persone, decine di bus in coda, in attesa di entrare in un piazzale invivibile, trasformato in un mercato di qualunque cosa», continua. Nel vulcano-bazaar, i Silvestri sono un accenno di fascino accessibile a tutti. «Alcune agenzie si stanno già organizzando per cambiare percorso: immaginate decine di gruppi organizzati, piuttosto numerosi, e moltiplicate per i cinque euro del biglietto — prosegue Belfiore — Senza contare che è il metodo il problema: nessuna richiesta di autorizzazione, nessun dialogo con le associazioni, nessuna discussione. Passa il messaggio che sull’Etna chiunque possa fare come vuole, in assenza delle istituzioni».

Ancora più battagliere sono le guide ambientali escursionistiche. Loro si sono già organizzate attorno a un tavolo che coinvolge FederEscursionismo, Natura Sicula, Lagap coordinamento nazionale, AssoGuide, Aigae, Cai regionale, Federparchi e Legambiente Catania. Tutte insieme per capire cosa si possa fare per impedire che una parte dell’Etna diventi disponibile solo per il pubblico pagante. «Non capisco perché se un privato sposta una pietra in casa sua, dentro al parco, arriva immediatamente la sanzione, mentre se lo fa Russo Morosoli allora sembra che nessuno si accorga di nulla», afferma Costanza Milazzo, una delle portavoce delle guide. Tra le associazioni, Natura Sicula ha già scritto una lettera alle autorità chiedendo di verificare «la legittimità del ticket imposto ai fruitori». Per il sì e per il no, in copia c’erano anche la Guardia di finanza e il comando provinciale dei Carabinieri.

«Per noi non è una questione di guadagno o spesa — afferma Milazzo — I nostri turisti, che con noi sono pronti a fare trekking, sono contenti di andare in un altro dei circa 150 crateri avventizi disseminati per l’Etna. Il nostro punto, però, riguarda la tutela e la fruibilità: i crateri sono nati nel 1892 e sono liberi da allora. Liberi devono restare. Non possiamo permettere che passi questo precedente». E conclude: «L’Etna non è una vacca da mungere». O meglio: è già stata munta fin troppo.