L'inchiesta "12 Apostoli"
Gli abusi in comunità, il giorno dopo la sentenza: l'urlo (liberatorio) della madre che scoperchiò il vaso di Pandora
La donna ha inviato una lettera a La Sicilia: «Ieri, finalmente, la giustizia ha parlato. Non cancella il dolore, non restituisce l’innocenza rubata, ma riconosce la verità»

Ieri c’è stata la sentenza del Tribunale di Catania, presieduto dal giudice Santino Mirabella, che ha chiuso il primo capitolo giudiziario dell’inchiesta “12 Apostoli” con condanne pesantissime nei confronti degli imputati.
Quell’indagine su abusi, plagi, riti purificatori e carezze intime non richieste che hanno distrutto l’innocenza di molte ragazzine, oggi diventate donne e mamme. Ma che si sentono di aver avuto negata la purezza: sono diventate adulte troppo presto.
A scoperchiare il vaso di Pandora di quello che avveniva nella Comunità di Lavina, ad Aci Bonaccorsi, e a casa di Capuana, a Motta Sant’Anastasia, è stata una madre che ha raccolto le confessioni della figlia. E ci ha creduto. Ha indagato. E con le prove è andata alla polizia postale e ha denunciato. Ieri lei e sua figlia si sono abbracciate in aula a Catania. Ma la scia di insulti, accuse di complotti, non si è placata nemmeno davanti a una sentenza di colpevolezza, seppur di primo grado.
Il legale di Capuana ieri ha ricordato il principio della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. E, infatti, gli imputati hanno già annunciato il ricorso in appello.
Intanto la madre (che ha denunciato) ha inviato una missiva a La Sicilia. Un grido. Anzi un urlo liberatorio. La pubblichiamo integralmente.
Lettera aperta di una madre che ha resistito
Dopo nove anni di silenzi, di dolore e di battaglie, sento il bisogno di condividere la mia storia.
Non per rivivere la sofferenza, ma per dare voce al coraggio, alla verità e alla speranza.
Perché la giustizia, anche se lenta, può arrivare. E perché nessuna madre, nessuna bambina, dovrebbe sentirsi sola in questo cammino.
Sono passati nove lunghi anni.
Nove anni di attesa, di paure, di udienze dove la mia voce tremava ma non si spegneva mai.
Nove anni in cui ho visto mia figlia dover rivivere il dolore, mentre cercavo di proteggerla con tutto l’amore e la forza che una madre può avere.
Ogni parola infame, ogni insinuazione, ogni sguardo di indifferenza è stato un coltello nel cuore.
Ma io non ho mai smesso di lottare.
Ho conosciuto la disperazione, quella che ti sveglia nel cuore della notte e ti toglie il respiro.
Ho conosciuto la rabbia, quella che brucia e ti fa sentire sola contro un mondo che sembra cieco.
Ma ho conosciuto anche il coraggio — quello che nasce solo dall’amore di una madre, che non si arrende, che si rialza anche quando tutto sembra perduto.
E ieri, finalmente, la giustizia ha parlato.
Non cancella il dolore, non restituisce l’innocenza rubata, ma riconosce la verità.
Una verità per cui abbiamo combattuto con ogni fibra del nostro essere.
Oggi sento addosso tutta la stanchezza di questi anni, ma anche una pace nuova.
La consapevolezza che il male non ha vinto.
Che la mia voce, la voce di mia figlia, non sono state vane.
Abbiamo resistito.
Abbiamo attraversato l’inferno, ma siamo ancora qui vive, ferite, ma libere.
Dedico questa vittoria a mia figlia, a tutte le bambine e le madri che aspettano giustizia.
A chi non ha voce, a chi ha paura, a chi ancora lotta.
Perché la verità può essere sepolta, ma non muore mai.
E un giorno, come oggi, trova sempre la forza di emergere.
Con tutto il cuore,
Una madre che ha scelto il coraggio