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Violenza sulle donne: i medici di base i primi a intercettare i segnali iniziali

In Italia una donna uccisa ogni tre giorni: come i medici di famiglia possono intercettare i casi «invisibili», riconoscere segnali sottili e attivare percorsi di protezione

Redazione La Sicilia

24 Novembre 2025, 19:46

Violenza sulle donne: i medici di base i primi a intercettare i segnali iniziali

 

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa. Sono infatti almeno 78 i femminicidi dall’inizio del 2025, secondo l’Osservatorio Nazionale Non Una di Meno. Ma la violenza non comincia con l’omicidio, e raramente viene denunciata. Molto spesso si avvia nel contesto domestico e fatica a emergere all’esterno, ma può manifestarsi negli ambulatori dei medici di famiglia, dove arrivano i primi segnali: sintomi vaghi, racconti incerti, ferite spiegate male, silenzi.

Alla vigilia del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg) richiama l’attenzione su un dato che resta fuori dai riflettori: la medicina di famiglia è uno dei primi avamposti in grado di intercettare la violenza quando è ancora “invisibile”, prima che esploda e prima che la vittima si presenti al Pronto Soccorso.

L’OMS definisce la violenza contro le donne una minaccia per la salute pubblica, con conseguenze immediate e a lungo termine. Il ruolo del Medico di Medicina Generale si contraddistingue per prossimità, continuità assistenziale e conoscenza diretta dei contesti familiari: questo permette di percepire eventuali sintomi di una violenza fisica ma anche di controllo economico, manipolazione psicologica, restrizione dell’autonomia, pressione sulla sfera riproduttiva con fenomeni come complicanze ripetute, basso peso alla nascita o gravidanze molto precoci. Dinamiche che raramente emergono spontaneamente ma che possono essere individuate precocemente negli ambulatori dei medici di famiglia.

“I medici di famiglia non vedono solo i sintomi, ma anche le storie - sottolinea Camilla Mandatori, Medico di Medicina Generale ad Aosta, membro Simg - in molte situazioni è proprio la relazione costruita negli anni a permettere di cogliere ciò che non viene detto. I segnali delle violenze spesso non sono eclatanti: una paziente che si presenta sistematicamente accompagnata e lascia al partner la gestione del colloquio; uno sguardo che sfugge, risposte esitanti, un atteggiamento che trasmette insicurezza o paura. A questi segnali relazionali si aggiungono quelli clinici: contusioni o fratture spiegate in modo incoerente, ematomi in fasi diverse di guarigione, disturbi ricorrenti come cefalee, dolori addominali, capogiri, sensazione di soffocamento, per i quali non emerge una causa organica. Anche insonnia, abuso di psicofarmaci, depressione o un tono dell’umore instabile possono rappresentare indicatori da non sottovalutare. Naturalmente, un solo elemento preso singolarmente non costituisce una diagnosi, ma l’insieme di diversi segnali ci deve imporre un sospetto, che può cambiare la traiettoria della vita di una donna”.

“I medici di Medicina Generale devono imparare a chiedere di più, usando allo stesso tempo competenza e cautela, poiché possono far emergere un quadro rimasto taciuto per anni – spiega Alessandro Rossi, Presidente Simg – la crescente presenza femminile nella professione – oltre il 50% dei medici italiani e circa il 40% dei mmg – contribuisce a creare contesti di maggiore confidenza. Ma la componente decisiva resta la formazione, a cui Simg sta lavorando: bisogna riconoscere gli indicatori, sapere come affrontare la conversazione, conoscere i percorsi sul territorio e collaborare con centri antiviolenza, consultori e servizi sociali. La violenza sulle donne resta un fenomeno in larga parte sommerso e il medico di famiglia è uno dei pochi professionisti che può scoprirne lo strato invisibile, prima che sia troppo tardi. Dobbiamo pensare il nostro ambulatorio come uno spazio sicuro anche sotto questo punto di vista, dove la donna possa essere ascoltata e accompagnata verso un percorso di protezione”.

“Il medico di famiglia può individuare subito un episodio di violenza – ha commentato l’attrice Maria Grazia Cucinotta, Presidente dell’Associazione Vite senza paura onlus, da anni impegnata in questo ambito – le donne dovrebbero denunciare in qualsiasi contesto e l’ambulatorio del medico di medicina generale è una sede a cui potrebbero certamente far riferimento. Il problema spesso è la paura che impedisce di esprimere questo disagio e porta a sentirsi soli”.