Il laboratorio
Catania: a lezione di fotogiornalismo in mare e la nave diventa un'aula
Gli studenti della Scuola Superiore “capitanati” da Fabrizio Villa sono saliti a bordo dell’unità “Dattilo” della Guardia Costiera

Il mare come aula, una nave come laboratorio e un equipaggio come maestro di vita. Così 12 studenti della Scuola Superiore dell’Università, guidati dal fotografo e giornalista Fabrizio Villa, hanno vissuto una giornata a bordo della Nave Dattilo CP940 della Guardia Costiera italiana, scoprendo come si costruisce un racconto fatto di immagini, disciplina e umanità.
Non una semplice visita, ma un laboratorio immersivo di fotogiornalismo: un modo per imparare a guardare, raccontare e comprendere la realtà operativa di chi ogni giorno garantisce la sicurezza in mare.
La Scuola Superiore, oggi diretta dalla professoressa Ida Nicotra, rappresenta una delle realtà di eccellenza del sistema universitario italiano. I suoi studenti, selezionati per merito tra le diverse facoltà, seguono percorsi di alta formazione multidisciplinare che uniscono competenze scientifiche, umanistiche e sociali.
Esperienze come quella a bordo della Dattilo rientrano pienamente nella sua missione educativa: formare giovani capaci di osservare il mondo con spirito critico, curiosità e consapevolezza civile.
Dopo l’accoglienza del comandante, il Capitano di Fregata Davide Guzzi e dell’equipaggio, gli studenti sono stati suddivisi in gruppi di lavoro: chi ha documentato le attività con la macchina fotografica, chi ha curato le riprese video, chi ha raccolto interviste e chi ha scritto un diario narrativo della giornata. Tutti, con ruoli diversi, hanno costruito insieme un racconto corale.
Durante la navigazione, la Guardia Costiera ha simulato una serie di esercitazioni operative reali: il recupero di un naufrago e i controlli di sicurezza su natanti e pescherecci. Scene intense, affrontate con rigore e precisione, che hanno lasciato nei ragazzi una profonda ammirazione per l’organizzazione e la prontezza del personale.
Tra gli sguardi curiosi e le fotocamere puntate, uno degli studenti, Enrico Fisichella, ha descritto così uno dei momenti più suggestivi della giornata: «La manovra d’attracco è diventata una scena da ricordare: il comandante Guzzi concentrato, i comandi rapidi, l’equipaggio che risponde con gesti precisi. Una coreografia di mare, dove ogni movimento parla di fiducia e competenza».
Ma la Nave Dattilo è anche un luogo di valori, non solo di operazioni. Lo ha ricordato il comandante, che ha voluto rivolgere agli studenti parole dense di significato: «Operare quotidianamente al servizio della collettività - ha detto - significa mettere al centro la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita umana in mare. Mi auguro che questa giornata possa lasciare in loro un segno profondo e diventare una fonte di ispirazione. Il futuro si costruisce con impegno, con passione e con il coraggio di mettersi al servizio degli altri».
A commentare l’esperienza è stato anche Fabrizio Villa, fotogiornalista e docente del laboratorio: «Conoscere il fotogiornalismo non significa necessariamente voler diventare fotogiornalisti. Significa comprendere come nasce un racconto per immagini, quali responsabilità comporta, e quanto sia importante saper distinguere tra verità e rappresentazione. Anche chi non farà questo mestiere, se impara a leggere una fotografia con consapevolezza, avrà acquisito uno strumento prezioso per capire meglio il mondo e il modo in cui viene raccontato».
Tra le voci degli studenti, significativa la riflessione di Dario Sanfilippo, che ha partecipato all’esperienza a bordo: «Essere fotogiornalista è spesso percepito come recarsi sul campo e fotografare per orientare l’immaginazione del lettore sulla notizia. Invece significa anche raccontare il vero a tutti i costi, perché - come diceva Salgado - premere l’otturatore non implica sempre fotografare. Il fotogiornalista mette anche la sua anima in ciò che crea».
La giornata a bordo della Dattilo si è così trasformata in una lezione di mare, di fotogiornalismo e di cittadinanza.
Un’esperienza che ha unito tecnica, etica e sensibilità, offrendo ai giovani partecipanti la possibilità di comprendere che raccontare significa anche appartenere: osservare con rispetto, testimoniare con verità e restituire con immagini ciò che spesso le parole non bastano a dire.